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Senza le icone sacre non sarebbe mai nata l’arte astratta di Andy Warhol

ANDY WARHOL

RAYMOND MAHUT / INA / AFP

Andy Warhol.

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 27/01/23

Senza le icone, simbolo dei cristiani ortodossi...non sarebbe mai nata l'arte astratta. Ecco perché

Cosa lega le icone sacre a Henri Matisse, Vassili Kandinski, Andy Warhol, i grandi maestri dell’arte astratta del ‘900? È incredibile ma l’arte astratta…non sarebbe mai nata senza l’ispirazione delle icone russe, il simbolo dell’ortodossia. Un articolo su Repubblica spiegava il legame intenso tra queste due tipologie d’arte che sembrano lontane anni luce una dall’altra.

La Trinità di Rublev

1_-_Trinità_di_Rublev

Per capire il valore di un’icona sacra si può pensare alla “Trinità” di Andrej Rublev, “l’icona delle icone”, come l’aveva definita già il “Concilio dei cento capitoli” convocato tre secoli e mezzo prima da Ivan il Terribile. Il dipinto raffigurava i tre angeli che nell’episodio biblico visitarono Abramo e furono ospitati alla sua tavola. Ma nell’icona nessuno mangiava, e non c’erano né il padrone di casa né Sara, sua moglie.

L’irrapresentabile

C’erano tre figure celesti di inumana bellezza, quasi identiche. I contorni delle loro posture formavano un cerchio che catturava lo sguardo dello spettatore in modo così potente da impedirgli di soffermarsi sui personaggi, o su alcun altro elemento del dipinto, magnetizzato all’interno della perfetta figura geometrica che era il vero soggetto dell’icona. Quel cerchio invisibile, ma soverchiante, rappresentava l’irrappresentabile: la consustanzialità delle tre persone della Trinità, definita già dalla teologia dei primi concili bizantini un’unica sostanza in tre ipòstasi. Una pura astrazione, forse la più difficile fra le astrazioni teologiche. Per questo Rublev l’aveva dipinta. Il suo era un quadro astratto.

Un’opera spirituale

Il filoosofo russo Pavel Florenskij spiegava che «l’icona o è sempre più grande di se stessa, se è una visione celeste; o è meno di se stessa, se non apre il mondo soprannaturale alla coscienza» di chi la guarda. Il suo scopo è sollevarla verso il mondo spirituale: se questo non si attua nella valutazione o nella sensibilità di chi guarda, l’icona resterà solo «una remota sensazione dell’oltremondo».

Interfaccia tra visibile e invisibile

L’icona non è, dunque, arte figurativa. Tuttavia questo nuovo, rivoluzionario statuto non figurativo dell’icona, interfaccia tra il visibile e l’invisibile, dimostrazione stessa che i due mondi possono venire a  contatto, sancito dalla teologia, affermato nella cultura bizantina, non era stato compreso dall’occidente. Fino al XX secolo.

La svolta del 1904

La data del 1904, che vede il restauro della “Trinità” di Rublev, è una data simbolo. Da un lato segna la riscoperta dell’icona da parte dell’estetica moderna, d’altro lato, e parallelamente, la nascita della moderna arte astratta. Risale all’anno successivo, il 1905, la nomina a conservatore della galleria Tretjakov di Mosca di Ilja Ostruchov, che del nuovo culto intellettuale dell’icona era stato, insieme a Pavel Muratov, l’attivista e l’apostolo.

Il “San Giorgio” di Kandiskij

6_-_San_Giorgio-II,_Kandinsky

Prima Henri Matisse, poi Vassili Kandinskij si contaminano con l’arte iconica russa. Kandiskij, in particolare, crea programmaticamente l’astrattismo a partire dall’esperienza delle icone. Il culmine dell’ispirazione bizantina è il suo lavoro su “San Giorgio”. 

San Giorgio è il santo della Cappadocia che riesce a liberare la principessa uccidendo un drago molto feroce. Nella sua rappresentazione, Kandinskij gli conferisce significati spirituali e religiosi. È composto da una enorme linea diagonale gialla, che raffigura appunto la lancia del santo che va ad conficcarsi nelle fauci del drago, di cui si vede anche la cresta. Una mescolanza di colori chiari e scuri sviluppano il dipinto, colori caldi e freddi, conferendogli un gioco di dissonanza: “La dissonanza pittorica e musicale di oggi non è altro che la consonanza di domani spiegava l’artista. Ma ciò rende il dipinto in perfetta armonia”, affermava l’artista (cultura.biografieonline.it).

In guerra contro gli “idoli”

L’arte contemporanea, scriveva ancora la Repubblica, acquista le sue ragioni e trae il suo fine dall’”iconoclasmo latente” dell’icona sacra, affrancandosi dalla dimensione religiosa e riportando al terreno secolare la sua dichiarazione di guerra alla moltiplicazione degli “idoli”, segnata, fra l’altro, dopo l’affermarsi della fotografia, dalla crescente diffusione di “false immagini” (mediatiche, pubblicitarie, comunque mercificate e “pornografiche”) nella società di massa emersa dal Secolo Breve e dalle sue rivoluzioni.

La “Coca Cola” di Warhol

In Andy Warhol, figlio di emigrati ruteni (etnia slava), ha ispirato all’icona russa, per esplicita ammissione, il metodo della ripetizione, l’adozione del multiplo, a perseguire lo svuotamento dell’immagine-idolo (consumistica, per esempio le bottiglie di Coca Cola, o anche semplicemente giornalistica: incidenti stradali, sedie elettriche).

Il “Blu” Klein

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Yves Klein opera la cancellazione totale della figura in tavole che a pieno titolo possiamo chiamare icone, dove i fondi oro diventano soggetto autonomo e l’astratta semantica bizantina del colore, già indispensabile per leggere la Trinità di Rublev (l’oro della sovrasostanzialità, il blu della vita eterna), trionfa evidente: il famoso “Blu Klein” è eminentemente, inconfondibilmente bizantino.

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