Il fotografo newyorkese è stato ospite al Meeting di Rimini con una mostra sulla vita dei figli, la morte di un padre e i guasti di un’auto. Proprio le cose che non possiamo controllare ci chiedono di essere più presenti al mistero della vita quotidiana.
Family car trouble è stata la prima mostra che ho visto al Meeting di Rimini. E poi ci sono ritornata da sola, e poi ci sono ritornata con mio marito. L’ho abitata come un regalo che arriva inatteso, ma è cucito sulla persona. Come si sta dentro l’accadere di quei misteri quotidiani di dolore e ferite, di frustrazione ed entusiasmo, di gioie pacate e sfuriate indicibili che è la vita?
Gus Powell, classe 1974, ha risposto con un romanzo per immagini sulla vita, la morte e i guasti di un’auto. Riguarda le piccole cose che possiamo custodire anche sfuocate e i grandi misteri viventi che non possiamo controllare. In ogni istante possiamo dire sì alla vita, Powell lo fa (anche) scattando foto.
Un grande grazie di cuore va al curatore di questa mostra, Luca Fiore, che ha portato a Rimini quest’artista, insieme a cui ha accompagnato noi spettatori con grande disponibilità ed entusiasmo.
Gus Powell vive a Brooklyn ed è uno degli esponenti contemporanei più interessanti della streetphotography di New York. Oggi tutti facciamo foto, abbiamo i cellulari con la memoria piena di scatti, un archivio stracolmo di immagini verso cui, alla fin fine, siamo indifferenti.
Eppure raccogliere un’immagine, custodirla come memoria, sarebbe un gesto tutt’altro che virtuale. Nel racconto di Powell la fotografia ritorna al posto che le spetta, dentro l’esperienza.
Dico che ‘faccio foto’. In realtà le scatta la macchina, ma sono io che faccio foto, nel senso che sono io che osservo una prospettiva, ho una visione unica: l’intenzionalità di cogliere un’opportunità è unica. In un certo senso, collaboriamo con il mondo per raccontare una storia.